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Nel suo amore | Poesia

DALE ZACCARIA NEL SUO AMORE - POESIE (2)

Si tratta di una grazia mista a tenacia perché dietro ogni componimento si ascolta la voce solenne delle donne, in generale, e di Franca Rame, in particolare, alla quale sono dedicati questi versi liberi. Il femminile, presente in varie accezioni simboliche, è la cifra che sottende a Nel suo amore ed è l’elemento di raccordo tra il cielo e la terra (“la donna/ è l’impasto del cielo”), ma anche, più semplicemente, tra il mondo della natura e la dimensione umana (“parto e paura”). La coralità delle donne (“fummo donne/ ma prima che donne/ fummo spiga”) si alterna a volte a un dialogo dell’autrice con Franca Rame, a volte a uno scambio tra sorelle (“dormi sorella su queste barricate”), altre volte alla prima persona dell’io lirico il quale, in alcune delle ventidue poesie, ama isolarsi e condensare la propria riflessione in pochi versi (“Ama e resisti, proteggi/ e non pronunciando l’amore”). Sullo sfondo di un’alternanza di voci che sembra ricordare gli stasimi delle tragedie greche, la lingua di Dale Zaccaria attinge al mondo della natura, soprattutto a quello floreale, e a quello astronomico. Alla rosa bianca emblema del messaggio di grazia nel nome di Franca Rame rispondono le “diciotto stelle” le quali, come obbedendo a una sorta di cabala, sono le donne più belle, vale a dire quelle che lottano per l’amore. Tutte le poesie sono, infatti, come ricorda il titolo della raccolta, un atto di fede nell’amore universale. In questo l’autrice si allinea a grandi scrittrici del passato alle quali sta a cuore il tema dell’amore, non solo inteso come eros, ma anzitutto come principio che nutre una concezione “altra” del mondo: mi vengono in mente grandi intellettuali come María Zambrano e Lou Andreas-Salomè, ma anche, ovviamente, poetesse tra loro lontane come Saffo, Gaspara Stampa o Ingeborg Bachmann. E proprio a Bachmann e al suo concetto di utopia sembrano ispirarsi alcuni, audaci versi che promettono “un mondo migliore/ un mondo possibile”. La vera protagonista di Nel suo amore è, comunque, Franca Rame, definita la “mia Regina”, la “vasta Signora/ dei giusti”, la “donna madre” che unisce, conciliandoli, i valori positivi del femminile e l’amore universale che tutto muove. È intorno alla figura di Franca che si muovono le stelle, che cantano le donne sì, ma anche gli uomini, che vive la natura e che si irradiano, come raggi di sole, i versi di queste ventidue poesie.

Giuliano Lozzi, dottore di ricerca in germanistica, è insegnante di lingua tedesca all’Università di Viterbo. Si è occupato di letteratura tedesca del Novecento. Attualmente sta indagando la figura di Antigone nella teoria femminista e post-femminista.

L’anima e la notte, della poesia ed altri versi | Poesia

l'anima e la notte dale zaccaria poesia

In L’anima e la notte, della poesia e altri versi ciascuna poesia descrive immagini vivide e chiare: quelle che ho amato di più sono ricche di speranza o di desiderio di mettersi o rimettersi in gioco. Si tratta di ritagli di vita che esprimono sentimenti ed emozioni familiari anche a chi legge e che, forse, suggeriranno al lettore le modalità per mettere a nudo, per descrivere, per trasmettere, per reinterpretare anche i propri pensieri, le proprie intuizioni. E proprio qui che la poesia di Dale Zaccaria interviene in profondità con grande efficacia. Non si può che essere trascinati da alcuni versi che si insinuano nella mente di chi legge e vi restano impressi per farsi ricordare, per farsi riascoltare, per suggerire appunto a ciascuno di coloro che li leggeranno una introspezione profonda, che può donare ottimi frutti.
Il libro si legge in un fiato, poi va riletto lentamente, con calma, riflettendo su ogni singola parola, su ciascun concetto espresso. Perché ciascuna parola rappresenta una vibrazione dell’animo dell’autrice, che si spoglia di pregiudizi e di luoghi comuni, di sensazioni semplicistiche e di facili approcci e che, proprio con la parola e attraverso essa, recupera un contatto con la sua parte più intima, creando sintonia con chi legge. E, quello che più conta, Dale Zaccaria sa come trasmetterlo quel contatto, come condividerlo, come farlo rinascere nell’animo altrui. ANGELA MOLTENI

Dipinto copertina I CAMALIONI

Le guerre mentono di EDUARDO GALEANO

EDUARDO GALEANO LE GUERRE MENTONO

Nessuna guerra ha l’onestà di confessare: io uccido per rubare.

Le guerre invocano sempre motivi nobili, uccidono in nome della pace, in nome di Dio, in nome della civiltà, in nome del progresso, in nome della democrazia, e se ci sono dubbi, se tante menzogne non bastano, Ci sono i grandi media pronti a inventare nemici immaginari per giustificare la conversione del mondo in un grande manicomio e in un enorme mattatoio.

In Re Lear, Shakespeare aveva scritto che in questo mondo gli stolti conducono i ciechi e quattro secoli dopo, i padroni del mondo sono pazzi innamorati della morte che hanno trasformato il mondo in un luogo dove ogni minuto 10 bambini muoiono di fame o di malattie incurabili e ogni minuto 3 milioni di dollari sono spesi per l’industria militare che fabbrica morte.

Le armi richiedono guerre e le guerre richiedono armi
e i cinque paesi che gestiscono le Nazioni Unite, che hanno il diritto di veto alle Nazioni Unite, risultano essere anche i cinque maggiori produttori di armi

Ci si chiede per quanto tempo? Fino a quando la pace sarà nelle mani di coloro che fanno il business della guerra?

Fino a quando continueremo a credere che siamo nati per lo sterminio reciproco, e che lo sterminio reciproco è il nostro destino?

Quanto tempo ci vorrà?

* fonte foto VareseNews

Festival Internazionale di Poesia Civile e Contemporanea del Mediterraneo TARANTO 13 e 14 SETTEMBRE 2019

dale zaccaria festival di poesia civile-1024x1024VENERDI 13 SETTEMBRE SALA CONFERENZE// UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BARI- DIPARTIMENTO JONICO// CITTA’ VECCHIA

h. 18.00 Dale ZACCARIA Performance video poetica “IL MANICOMIO DELLA BELLA FOLLA” omaggio ad Alda Merini — Video a cura di Tomas Di Terlizzi in collaborazione con Il laboratorio artistico I CAMALIONI.

SABATO 14 SETTEMBRE TEATRO TATA’ h.20.30
mini performance poetica da mie poesie scelte PRIMO FUOCO BIANCO con Maria Paola Pallina. 

VENERDI E SABATO 13 e 14 SETTEMBRE MOSTRA VEROSIMILE de I CAMALIONI e CORTO Non RITRARTI.

https://www.contaminazioni.org/

Il Manifesto della comunicazione non ostile

Il Manifesto della comunicazione non ostile

È una carta che elenca dieci princìpi di stile utili a migliorare lo stile e il comportamento di chi sta in Rete.

Il Manifesto della comunicazione non ostile è un impegno di responsabilità condivisa.
Vuole favorire comportamenti rispettosi e civili.
Vuole che la Rete sia un luogo accogliente e sicuro per tutti.

Condivido i princìpi del Manifesto della comunicazione non ostile.
Mi impegno a osservarli, promuoverli e diffonderli.
Aggiungo orgogliosamente la mia firma!

https://paroleostili.it

Anna Maria Barbera: Il mercato che non valorizza i talenti

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Se c’è una trappola non è il talento ma è sempre di un mercato che non gliene può fregare meno dei talenti. E questa distrazione non c’è solo verso la sottoscritta. ANNA MARIA BARBERA

fonte foto soloartistiesclusivi.it

Il difficile non è scriverla la poesia

DALE ZACCARIA I CAMALIONI

“Il difficile non è scriverla la poesia, quanto trovarla, mantenerla, farla vivere nei propri occhi, nel proprio cuore, nella propria vita”. Dale Zaccaria

Dipinto I Camalioni

Breve analisi della condizione femminile in Italia: lo stigma della “ragazza madre”. Ma in Islanda le madri single sono la normalità.

DIPINTO I CAMALIONI

Breve analisi della condizione femminile in Italia: lo stigma della “ ragazza madre”.
Ma in Islanda le madri single sono la normalità.

di DALE ZACCARIA

CONSIDERAZIONI E PREMESSE

Marchiate fin dalla nascita, le donne, senza altre possibilità di scelta, si trovano a perpetuare il patriarcato attraverso il cognome maschile dei padri. Tutte, nessuna esclusa, nascono e vivono con il titolo imposto dall’etero-patriarcato. Le meno libere, le piu’ condizionate, tendono ad acquisire il doppio titolo del padre-marito. La loro identità non solo anagrafica, ma anche culturale e sociale, si rafforza nel doppio cognome, annullando completamente qualsiasi sviluppo di sé in quanto essere femminile, l’unica autodeterminazione possibile si realizza attraverso il potere maschile paterno e coniugale. Mantenendo anche solo l’appellativo dovuto all’unione coniugale come dice Simone De Beauvoir, già nel matrimonio stesso ” la donna diventa una vassalla”

Leggiamo ne Il secondo sesso: ” il matrimonio è il destino imposto per tradizione alla donna dalla società. Con il matrimonio la donna prende il suo nome ( dell’uomo/marito) è associata al suo culto, integrata alla sua classe, al suo ambiente, appartiene alla sua famiglia, diventa la sua “metà”. Con il matrimonio la donna diventa sua vassalla.”

Il cognome imposto dal patriarcato alle donne, le relega sin dalla nascita, a un compito doveroso, sono portatrici inconsapevoli e già scelte, del continuum patriarcale. Nulla può valere la scelta di un doppio cognome, ovvero quello materno, perché la linea materna, matriarcale è stata soppiantata da secoli, millenni, annullata, cancellata, dal Dio-Padre.

Le donne non solo acquisiscono senza scelta tutti i valori e le imposizioni patriarcali sin dalla nascita, ma anche il loro destino è già tracciato da tutti i vantaggi o svantaggi sociali propri delle famiglie in cui nascono, è il potere del Pater che influenzerà nel bene o nel male la vita delle figlie femmine. Essere figlia di un operaio o di un uomo facoltoso e di prestigio determina due sorti diverse.

Le regole e le imposizioni maschili sono state pensate senza poter dare via di fuga alle donne. Dal cognome paterno, a quello coniugale, al matrimonio, alla maternità, la donna, il femminile, non potrà mai realizzarsi autonomamente e in maniera indipendente, ma soltanto attraverso la relazione con il maschile. E’ l’uomo, il maschio che crea e detta le leggi, da sempre, il corpus femminile non può che eseguirle e con più o meno consapevolezza perpetuarle.

Per quanto le società contemporanee si mescolino di nuove libertà, l’emancipazione vera della donna almeno in Italia è una strada ancora tutta da costruire e da percorrere. Paese culturalmente arretrato e vecchio, è la donna stessa poco consapevole, della propria identità, come dello spazio che deve ancora conquistare per autodeterminarsi in maniera libera e indipendente.

Relegata e subalterna al maschile, si ritrova anche da un punto di vista politico a invischiarsi in ruoli di potere concessi non in qualità di Regina ma di ancella, sempre la Beauvoir” Non so bene cosa faranno le donne elette negli organi istituzionali se non essere delle donne-alibi, anche lì.” Lavorativamente mai a capo, ma braccio scelto dal datore di turno, sia esso un uomo pubblico, di successo, sia esso l’uomo comune. La subalternità delle donne in Italia è così evidente e palese, che le guerre intestine tra donne , sono il risultato forte di quanta incoscienza e inconsapevolezza e anche stupidità regni tra loro. Pronte ad annientare l’altra, ma mai pronte a unirsi in maniera determinata per cambiare il proprio stato di podestà al masculum potentia.

Ovviamente qualsiasi cambio culturale non può che passare da una presa di coscienza. E in Italia ciò che manca oltre ad un’ unione compatta femminile è proprio la presa di coscienza collettiva delle donne. Corrose anche da quella modernità liquida individualista e capitalista. Tenendo conto che il capitalismo non è che un’ evoluzione distruttiva e coloniale del patriarcato. Perché è sempre questo Potere a dettare le leggi del mercato, come a regolare e a modellare i corpi e le scelte delle donne.

Ma se in Italia viviamo in un sistema così arretrato, poco più a nord, in Islanda, è la legge delle donne che conquista parità e libertà. Dalla parità di genere, a quella lavorativa e politica, l’Islanda non è solo l’isola delle Signore o una delle poche realtà felici femministe, è anche il paese dove essere una ragazza madre o una donna single con figli è la normalità. “ Un segno di questo egualitarismo è l’atteggiamento islandese verso la maternità, sostenuta da ampi aiuti statali, come nove mesi di congedo retribuito (sia per le donne sia per gli uomini), e da scuole a prezzi accessibili. Forse anche per questo l’Islanda registra il più alto tasso di nascite fuori dal matrimonio al mondo: i due terzi dei bambini nascono da donne non sposate.“ (1)

LO STIGMA DELLA RAGAZZA MADRE

Lo stigma della “ragazza madre” proprio dei paesi meno sviluppati come l’Italia e oggi ancora presente in molte altre Nazioni, pensiamo solo alla Tunisia è un chiaro dispositivo patriarcale. E’ il rifiuto dell’uomo che determina lo scarto sociale della donna e della madre. E’ il mancato riconoscimento dell’Istituzione maschile che la marchia. E in questo le donne si sentono chiare vittime rifiutate, perché anche la loro maternità deve passare dal riconoscimento maschile. Oggi in Italia da esperienza diretta ho sentito giovani donne dire “ io un figlio senza un uomo non lo faccio” ed è qui che a mio parere il nostro Paese si palesa in tutta la sua arretratezza culturale e sociale, ed è qui a mio parere che la donna italiana è molto piu’ corresponsabile della sua situazione in quanto ancora troppo immatura, poco libera e consapevole. Già Simone de Beauvoir nel Secondo Sesso diceva “ una donna già matura e indipendente può volere un figlio che appartenga solo a lei. Mentre la donna infantile e timida avrà il bisogno urgente di avere un appoggio maschile.”

La ragazza-madre agli occhi della società è stata sempre considerata con vergogna, come i figli nati fuori dal matrimonio, perché è proprio il matrimonio l’ Istituzione massima del patriarcato, che legittima qualsiasi autorità dell’uomo-marito sulla donna. Il suo rifiuto, il rifiuto di non riconoscere il figlio o di non sposarla, la porta ad essere un’emarginata, declassata dal ruolo di moglie-schiava-suddita, a quella di scarto sociale e culturale.

Oggi le donne single in Cina che hanno figli da non sposate vengono multate, e non possono godere dell’assicurazione riproduttiva pagata dallo Stato. In Tunisia solo agli uomini spetta la potestà sui figli, e tenere un figlio fuori dal matrimonio per molte donne tunisine equivale ad essere ripudiate e cacciate di casa. (2) In Marocco le donne che decidono di tenere un figlio concepito fuori dal matrimonio possono scontare anche fino a un anno di prigione.(3)

L’ISLANDA: l’ISOLA DEI DIRITTI DELLE DONNE

L’Islanda ribalta la situazione di tanti Paesi, spazzando via ogni stigma e tabù: ” è la Nazione con il più alto tasso di madri single al mondo: quasi due terzi dei bambini nascono da mamme senza un compagno. La prevalenza e l’accettazione della monogenitorialità, unita a una solida rete di sicurezza sociale e ai benefici collegati, possono spiegare perché in Islanda, diversamente da quanto accade in altri Paesi, le madri single godono possono contare su maggiore supporto e indipendenza nel cercare la soddisfazione personale, professionale o nel proseguire gli studi.” (4)

Cio’ che rende l’Islanda un paese così femminista e avanzato è la forza, la determinazione, la consapevolezza delle donne stesse: le donne hanno diritti sul proprio corpo e la propria immagine, l’aborto è legale , gli strip club sono proibiti, gli abusi sulle donne vengono severamente puniti, i casi di violenza domestica quasi sempre denunciati, è reato pagare di meno le donne rispetto agli uomini, la donna in Islanda può decidere di essere una madre single, crescere un figlio senza un compagno, sposarsi con un’ altra donna e adottare figli, vivere una relazione perfettamente senza questa usanza del matrimonio, essere semplicemente se stessa, libera, in tutte le forme e i modi che meglio la definiscono. L’Islanda riconosce anche un terzo genere la “X” transgender, lasciando liberi i futuri cittadini di domani di definirsi sessualmente e come identità come meglio loro sentono. Senza che i genitori dalla nascita definiscano il bambino maschio o la bambina femmina attraverso un imposizione binaria etero-patriarcale.

L’ARRETRATEZZA CULTURALE E SOCIALE ITALIANA

In Italia, al contrario, essere una madre single equivale a vivere nell’assistenzialismo e anche se dal 1983 il numero di madri sole con figli è raddoppiato, secondo i dati Istat molte sono a rischio povertà.
Il numero maggiore di ragazze-madri le troviamo al Sud-Italia in testa la Sicilia, seguita da Puglia e Campania, molte di queste madri sono giovani adolescenti tra i 15 e i 19 anni.

” Per anni avere un figlio in età pre-matrimoniale è stato considerato uno scandalo. La maggior parte dei genitori ripudiavano le figlie incinte che, con o senza fidanzato, erano oggetti di maldicenze paesane e venivano comunemente chiamate “ragazze madri”. Per tutta la vita pagavano a caro prezzo l’essere diventate madri nel momento sbagliato e con il tempo le colpe ricadevano anche sui figli, considerati illegittimi.”(5)

Rispetto all’Islanda i diritti delle donne in Italia, quelli conquistati, come la legge sull’aborto sono sempre a rischio. I medici obiettori sono più del 65%. La disparità di genere colloca l’Italia tra gli ultimi paesi Europei e all’82° posto su scala mondiale. Meno pagate, ma più istruite le donne italiane rischiano licenziamenti a causa della maternità, questo è un dato emerso anche dallo sportello di ascolto della Cisl. Essere una madre single o separata, non rende migliore la vita alle donne italiane, a rischio povertà secondo i dati Istat non sono solo le ragazze madri, ma anche le tante donne che decidono di separarsi. Se l’Islanda ha avuto una passata Primo Ministro donna e omosessuale, Jóhanna Sigurðardóttir, e oggi una giovane donna ambientalista, Katrín Jakobsdóttir, nessuna donna in Italia dalla nascita della Repubblica ad oggi ha ricoperto il ruolo di Premier, meno che mai di Presidente della Repubblica. Se le donne omosessuali in Italia vivono costantemente nell’invisibilità, accontentandosi di Unioni Civili, ma non avendo né il matrimonio egualitario né la possibilità di adottare bambini, l’Islanda consente sia il matrimonio che l’adozione, e si colloca tra i paesi più gayfriendly al mondo, dove l’omosessualità è libera ed accettata mentre l’Italia si colloca solo al 26° posto tra la Namibia e il Brasile. La violenza sulle donne non è severamente punita come nell’isola nordica, come possiamo leggere continuamente dai moltissimi casi di cronaca, gli aguzzini si trovano spesso a scontare pochi anni di pena o agli arresti domiciliari per stupri. Le violenze domestiche non vengono così spesso denunciate, 8 donne su 10 preferiscono tacere. Ma l’Islanda è un Paese anche con un tasso bassissimo di criminalità e che non possiede un esercito. E se i locali di strip che mercificano la donna sono vietati, in Italia ne abbiamo di tutti gusti e colori. E per finire con la musica, come rap/trap che qui in Italia annovera cantanti con testi fortemente sessisti e violenti, in Islanda, la bravissima Bijork attacca i giornalisti con una lettera postata sul suo profilo facebook, tacciandoli di sessismo, e di prendere in considerazione la musica attraverso stereotipi di genere. Concludendo questo piccolo excursus, non può che mancare un’altra piccola considerazione. L’Islanda non è solo l’Isola dei diritti delle donne come citato sopra, è anche uno dei Paesi più meritocratici con a capo la Finlandia seguita dalla Danimarca, mentre l’Italia anche qui si colloca all’ultimo posto. E se l’Italia è già fortemente maschilista, patriarcale, pensiamo solo che l’essere così poco meritocratica in un mondo dove il Potere è esclusiva maschile, non può che discriminare doppiamente la donna, che farà ancora più fatica rispetto agli uomini in tutti gli ambiti e settori, a meno che sia essa stessa avvantaggiata o raccomandata da qualche spinta di
masculum potentia, ma come detto per la politica, mai Regina, se non ancella, o fedele collaboratrice oppressa perché citando sempre la Simone De Beauvoir: “l’oppressore non sarebbe così potente se non trovasse fedeli collaboratrici tra le oppresse.”

Conclusioni

Credo che sia molto piu’ urgente in Italia parlare alle donne, renderle piu’ libere e consapevoli. Il cambio culturale non può che passare per loro. Ma senza libertà, coraggio e assoluta consapevolezza, il femminile resterà, come lo è ormai da secoli, una costola del patriarcato, e le donne e le madri non potranno che continuare a perpetuare le leggi dell’etero-patriarcato con le loro norme, vincoli, e mancate libertà. Il cambio culturale passa per il femminile. Ma in Italia c’è tantissimo lavoro che le donne devono fare, ancor prima di contrastare la violenza e il potere maschile, su loro stesse.

(1) Essere Madre in Islanda articolo di Internazionale
(2) Essere ragazza madre in Tunisia: tra condanna sociale ed emarginazione – opiniojuris
(3) Marocco: se sei una ragazza madre vai in prigione – giornalettismo
(4) Dove la madre single non è tabù – pagina99
(5) Ragazze madri, boom nel Sud Italia – quimamme

*DIPINTO I CAMALIONI

VANDANA SHIVA: “El patriarcado destruirá el planeta si no lo frenamos”

VANDANA SHIVA Il patriarcato distruggerà il pianeta se non lo fermiamo

El sistema patriarcal capitalista. Un orden de valores que desvaloriza, esclaviza y explota a las mujeres, cuyo trabajo en casa y en el campo ha sido siempre el verdadero sostén de la humanidad. Hablo de era antropocénica, intrínsecamente destructiva de la naturaleza y de la feminidad, ligada a la violencia y la guerra. No siempre fue así: en la remota antigüedad venerábamos a diosas, representación del respeto a la Tierra Madre. Un concepto muy patriarcal: seguir conquistando y destruyendo.

fonte https://www.lavanguardia.com/lacontra/20160509/401662158815/el-patriarcado-destruira-el-planeta-si-no-lo-frenamos.html

 

Femminile: dare un genere alla lingua

Dale Zaccaria Madrid

di ACCADEMIA DELLA CRUSCA E ZANICHELLI
FONTE A QUESTO LINK
FOTO di Dale Zaccaria scattata a Madrid La Musa

Oggi il problema di genere è piuttosto d’attualità, visti i grandi cambiamenti del ruolo delle donne nella società moderna. In passato, il maschilismo costitutivo della società rendeva così improbabili certi mestieri per una donna che non c’era bisogno di declinarli al femminile. Siccome nessuna donna faceva l’avvocato o l’ingegnere o il fabbro o il sindaco non si poneva la questione di questi nomi al femminile, come non si poneva per il maschile di massaia (massaro aveva e ha un altro significato) o di casalinga.

Il genere grammaticale non coincide col sesso: la sentinella e la guardia sono grammaticalmente femminili, ma i mestieri soprattutto per maschi; contralto e soprano sono maschili ma denotano ruoli vocali soprattutto femminili (tanto che si dice anche la contralto, la soprano). Altri nomi sono ambigeneri come collega o artista o mendicante. In teoria non c’è niente di più adattabile al genere dei nomi di mestiere, che variano a seconda che li faccia un uomo o una donna; da qui la doppia morfologia, maschile e femminile, di molti suffissi che indicano attività, professione: -aio/-aia (cartolaio, verduraia), -iere/-iero/-iera (salumiere, guerrigliero, parrucchiera), -ino/-ina (imbianchino, postina), -tore/-trice (direttore, direttrice). L’italiano ha ormai accettato le coppie di nomi in cui al maschile -e corrisponde un femminile in -a e quindi usa senza problemi infermiere/iera, cameriere/iera, ragioniere/iera, consigliere/iera ecc.; non è però altrettanto disponibile ad accettare ingegnere/ingegnera e men che mai (se non scherzosamente) carabiniere/carabiniera.

Oggi la questione del genere si pone con particolare risalto per i nomi di certi lavori in passato preclusi alle donne. Il tempo riesce ad acclimatare al femminile o al maschile, purché grammaticalmente corretto, qualsiasi nome. Facciamoci caso: non abbiamo nessun problema a dire la preside (nome ambigenere), ma c’è qualche ritegno a dire la presidente o la vigile o la giudice. Eppure nomi di mestiere da participi presenti al femminile ce ne sono molti in italiano (la badante, la dirigente, la cantante…) e quindi non dovrebbe esserci alcun imbarazzo per la presidente. E così dovrebbe essere per la vigile e la giudice, nomi che per forma ammettono tranquillamente il femminile.

La grammatica insomma è condizionata dalla cultura, e questa è maschile anche oggi. Succede per di più che il suffisso del femminile -essa sia avvertito come spregiativo in certe giunzioni, specie quando è disponibile grammaticalmente un femminile standard, come in deputato/deputata/deputatessa. Se non c’è (ormai) alcuna traccia di svalutazione in -essa di dottoressa (così detta «per ischerno» secondo il secentesco Vocabolario della Crusca) o professoressa, professioni molto o soprattutto diffuse tra le donne, e men che mai ce n’è in nobili parole antiche come baronessa, contessa, duchessa, principessa, il nome sindachessa suona spregiativo ed è perciò sconsigliabile; non parliamo di ministressa e, in parte, anche di soldatessa, tanto più che esistono alternative normali e non connotate (ministra è impeccabile linguisticamente e socialmente, esattamente come maestra, e non parliamo di soldata). Invece col suffisso -trice (variante femminile di -tore) non c’è rischio di svalutazione e quindi ambasciatrice, direttrice, scrittrice, pittrice, attrice non fanno problema.

La resistenza del maschile o la renitenza al femminile è tale, per certi mestieri, che non si forma un femminile neppure quando sarebbe semplice e normale formarlo: non si vede perché come da maestro si è fatta maestra senza scandalo, da soldato soldata, da sindaco sindaca, per non dire di magistrata (va un po’ meglio per avvocata, attributo della Madonna, insidiato nella professione da avvocatessa).

In effetti i primi segnali emergono anche dai dizionari che sempre più rendono conto di questa variazione nel genere dei nomi di mestiere o professione, come risulta bene dalla voce femminile dello Zingarelli.

È vero però che a volte si può esagerare nel ristabilire la parità tra i generi. Certi nomi sono riferiti alla persona e alla carica. Presidente della Repubblica può essere il titolo di chi ricopre questa carica, quanto la carica stessa. In questo secondo caso si usa il maschile come genere «non marcato» e quindi più adatto ad esprimere qualcosa che non è né maschile né femminile. Spesso però la distinzione tra titolo e carica è sottile: amministratore delegato individua una persona o una funzione e quindi è possibile l’amministratrice delegata? Più si è nei dintorni delle proprietà di una persona e più è intuitiva la concordanza al femminile; ad esempio, se dico che interviene a una cerimonia «Maria Rossi, AD dell’azienda XY», sarebbe meglio scrivere «Maria Rossi amministratrice delegata di XY» che non «amministratore delegato di XY». Ma non si usa. O solo con molta esitazione. Però qui il tempo porterà certo (buon) consiglio.

Pensiero Attivo

“Il difficile non è scriverla la poesia, quanto trovarla, mantenerla, farla vivere nei propri occhi, nel proprio cuore, nella propria vita” Dale Zaccaria

“L’oppressore non sarebbe così potente se non trovasse fedeli collaboratrici tra le oppresse” Simone de Beauvoir

“Ho imparato due cose importanti che dovrebbero essere ancora basilari nel mondo dello spettacolo e nella vita: la dignità e il rispetto di se stessi e degli altri” Franca Rame

“In Italia c’è il mancato riconoscimento del merito, il fatto che se hai talento ti ostacolano. Il talento diventa un elemento che va a rompere gli equilibri di mediocrità e compromesso di un sistema clientelare, dove la parola conoscenza equivale a raccomandazione” Dale Zaccaria

“Una società sana premia il merito, punisce i mascalzoni e investe nell’istruzione ” Milena Gabanelli

Partnership Libreria Amica: LIBRERIA ANTIGONE DI MILANO: Nata a giugno 2016, la libreria Antigone è specializzata in tematiche Lgbtqi+ femminismi e studi di genere. Un piccolo luogo di ritrovo con un grande intento: fornire strumenti per capire, educare, crescere.