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Pier Paolo Pasolini questa disperata Passione di essere nel mondo

PIER PAOLO PASOLINI NICHI VENDOLA DALE ZACCARIA

L’UNIVERSITA’ DELL’UGUAGLIANZA
presenta
Pier Paolo Pasolini questa disperata Passione di essere nel mondo

Prosegue il ciclo “Vivere nella tempesta”. Nichi Vendola parlerà di PPP, “Questa disperata passione di essere nel mondo”. Giovedi 19.11 alle 17 sulla pagina FB di Uniug e su zoom. Per iscriversi e ricevere i codici scrivere a: universitadelluguaglianza@gmail.com.

Documentario Non Ritrarti Poesia di luce tra Identità e Ritratto

documentario NON RITRARTI

Qui potete vedere il documentario: “Non Ritrarti Poesia di luce tra Identità e Ritratto” a cura di Tomas di Terlizzi con la partecipazione de I Camalioni & Me. CLICCA QUI

I Camalioni è un laboratorio sperimentale di attività creative a Bisceglie (Puglia) composto da persone diversamente abili e che hanno vissuto l’esperienza manicomiale. Dal 2014 i loro dipinti sono le copertine dei miei libri. Prosegue la collaborazione artistica anche con cortometraggi e documentari.

12 Ottobre 1492 niente da celebrare – Donna Fernanda Isabel e il saccheggio delle Americhe

Donna Fernanda Isabel e il saccheggio delle Americhe Dale Zaccaria

12 Ottobre 1492 niente da celebrare il mio contributo “Donna Fernanda Isabel e il Saccheggio delle Americhe” racconto satirico

Un Cristoforo Colombo catapultato ai giorni nostri, una Donna Fernanda Isabel dedita alla borsa dei valori, flussi finanziari e banche. Un racconto grottesco tra storia e realtà, tra passato e presente, per meditare sull’estrattivismo in molti paesi dell’America Latina: un vero saccheggio di risorse naturali che crea la ricchezza di pochi, la povertà di molti, morte e danni ambientali e quali le responsabilità di vecchi e nuovi conquistatori? Questa è la domanda che si vuole lasciare aperta come momento di riflessione. Dipinto copertina de I Camalioni.

Pas les fleurs mais les roses – Inédit pour une passante

non-i-fiori-ma-le-rose-dale-zaccaria

Pas les fleurs mais les roses
je veux compter les roses
dé memoire violettes
dur et rouge

avec la bouche
jaune
éternellement fermé

les roses blanche
vierges et blanche
clair comme la mort
blanches comme l’attente

pas les fleurs moi je veux compter
les roses
nos roses

celles de tes mains
celles qui coulent de ton sexe
qui envahissent
la parole

la rose de mon esprit
la rose de la victoire
la rose seulement la rose

qui ne sont pas les roses
pétales et parfume de roses.

TRADUZIONE della Lirica Non i fiori ma le rose da INEDITO PER UNA PASSANTE

Pier Paolo Pasolini : Langage et poésie

PIER PAOLO PASOLINI FOTO DI LETIZIA BATTAGLIA

di DALE ZACCARIA

“Sul vuoto che Pasolini ha lasciato permane la difficoltà di cancellarne l’ombra, e più si tenta di cancellarla e più si proietta nella realtà che stiamo vivendo” Enzo Golino

Itinerari Pasoliniani. La dissoluzione dei corpi.

L’omicidio di Pasolini segna i territori delle debolezze collettive, divenendo egli vittima sacrificale del cannibalismo dei linguaggi giornalistici e neo-televisivi;
l’evento luttuoso viene esteriorizzato, tolto dalla sua aura intima e dolorosa dagli apparati comunicazionali e della cultura di massa.
Lo stesso corpo martorizzato assunto ad icona dell’inconscio collettivo rappresenta i rischi della modernità: la dissoluzione dei corpi, mutazione e disgregazione sociale.
Pasolini nel suo ultimo atto vive e fa vivere paradossalmente la crisi, l’atonia di una destorificazione dell’individuo dove la stessa morte è spettacolarizzata.
Il pensiero postmoderno francese con Baudrillard, sottolinea come la logica della rappresentazione diventi prioritaria rispetto all’oggetto rappresentato: “non l’estasi della comunicazione dove tutto è sottoposto all’estroversione forzata di ogni interiorità e all’introiezione forzata di ogni esteriorità.”

A difendere il dolore dello scrittore che affermava “ sento la mia tensione verso un mondo che io rifiuto, che non ha ragione” interverrà l’urlo di Moravia a Campo dei Fiori: “il poeta dovrebbe essere sacro.”
Nel saggio Empirismo Eretico, l’autore si dibatte, nella prima parte sulla storia dei rapporti dello scrittore italiano con la lingua media, constatando le problematiche inerenti ad essa: la non esistenza di una lingua nazionale o “imperfettamente nazionale.”

La koinè come entità dualistica, italiano letterario e italiano strumentale, il tutto intessuto in un modello borghese o piccolo borghese a cui soprattutto la letteratura alta e media s’intreccia All’orizzonte intanto “ si profila la lingua del futuro(…)quella voluta dai tecnocrati, dai neocapitalisti (…).”

Così il linguaggio giornalistico, anticreativo, che si deve completamente adeguare alla richiesta di massa, ritagliando dalla grammatica italiana solo gli elementi che concernono la comunicazione. O quello politico, segno evidente dell’omologazione della nuova società neocapitalistica.

La cultura tecnocratica-tecnologica si accinge ad espropriare afferma il poeta “tutto il passato classico e classicistico dell’uomo: ossia l’umanesimo.” Pasolini testimonia con il proprio corpo questo passaggio epocale fino a giungere a quel livellamento linguistico dovuto alla diffusione dei mezzi mass-mediali (radio, televisione).

Come annota Andrea Miconi “ relativamente precoce è dunque in Pasolini, la coscienza del ribaltamento globale delle culture, degli investimenti estetici ed effettivi e dei modi dell’esperienza vissuta, della de-erotizzazione dell’agire creativo e della meccanizzazione dei modi e delle tecniche di espressione.” Stiamo assistendo alla formazione di un nuovo regime antropologico, una nuova cultura che sopprime quella popolare con istanze consumistiche e di mercificazione.

La polemica dell’ eretico antimoderno contro l’influenza e la manipolazione sociale dei mezzi di comunicazione di massa, la mercificazione estetica da essi compiuta e avvertita come l’erosione auratica dell’opera d’arte, la desacralizzazione dell’immagine ormai fruita quotidianamente, passivamente dallo spettatore non è più epifania delle radici mitiche dell’espressione. Quest’ultima sarà riscattata nell’innesto compiuto da Pasolini tra il dialetto romano e il suo italiano letterario, dove la lingua della borgata diviene il territorio di una “naturalità espressiva” come afferma De Benedectis, inscritta nei corpi e nei luoghi dei propri parlanti.

Esprimersi è esistere.

Pasolini è un infaticato sperimentatori di linguaggi. Egli può esistere solo esprimendosi, così la scrittura, così anche il cinema, sono i mezzi con i quali egli può liberarsi da questa ossessione, ma al contempo gli strumenti necessari per recuperare quel mondo primigenio ed innocente.

Tullio De Mauro in un suo saggio “Pasolini critico dei linguaggi” ripercorre questa iniziazione. Il poeta è legato essenzialmente ad un’ ambiente in cui si esprime l’altarità dialettale, da un lato della madre friulana e dall’altro del padre romagnolo, a fare da traid d’union a queste componenti eterogenee sarà l’obbligo d’apertura ad una strada verso l’italofonia. La figura paterna è legata a quel complesso edipico analizzato e superato nel film del 1967 Edipo Re, dove in un primo tempo il regista riscrive la tragedia sofoclea in chiave autobiografica, cercando il superamento necessario a questa condizione. Scrive Pasolini: “questo è ciò che Sofocle mi ha ispirato: il contrasto tra la totale innocenza e l’obbligo di sapere. Non tanto la crudeltà della vita che determina i crimini quanto il fatto che la gente che non tenta di comprendere la storia, la vita, la realtà.”

Tra feticci metropolitani e la disgregazione di un unitario passato.

L’arrivo di Pasolini a Roma è dettato più che da una scelta personale, dagl’eventi traumatici che si susseguirono nella vita del poeta: leggiamo nel saggio di Andrea Miconi, PPP, la poesia, il corpo e il linguaggio : “ a Roma era approdato rocambolescamente nel Dicembre del 1949, al termine da una vera fuga da Casarsa, in Friuli, il paesino della famiglia materna, dove egli viveva e lavorava. La fuga, un trasloco organizzato in fretta e furia con la madre Susanna Colussi, seguiva di un paio di mesi la prima traversa giudiziaria subita dal poeta: un processo per atti osceni in luogo pubblico e corruzione di minorenne che gli aveva fruttato l’espulsione dal PCI per “indegnità morale e politica” e il licenziamento dalla scuola media di Valvasone dove Pasolini insegnava italiano, e dove pare fosse avvenuto il fatto.”

L’incontro con Roma e soprattutto con la borgata corrisponde in Pasolini alla scoperta di nuovi linguaggi e di forme espressive alternative, dal romanzo al cinema; ma segna anche il passaggio dal modello Pascoliano assunto nel periodo friulano a un “linguaggio più spettacolare”.
Se nel processo letterario pasoliniano era già inscritto l’evento cinematografico esso diventa anche il modo di confrontarsi con un mondo che conosceva solo lateralmente e che gli permette così di riformulare il proprio ruolo d’intellettuale.

Come afferma lo studioso Serafino Murri “ confrontarsi con l’immediatezza di uno degli allori principali mezzi di comunicazione di massa, molto meno “aulico” e gravato dai cliché borghese della solipsistica inaccessibilità alle masse dell’espressione letteraria, significava, in qualche modo “scendere in campo”. Utilizzare quello che negl’ anni Sessanta era il mezzo di comunicazione dell’etica borghese per eccellenza significava accettare la sfida aperta da quella cultura.”

Certo Pasolini non era “un perfetto uomo di cinema”, le sue immagini non erano strutturate sulla maniacalità tecnica, erano spesso “sgrammaticate” e la logica della loro costruzione era più poetica che strettamente cinematografica. De Benedictis sintetizza l’immagine (cinematografica) pasoliniana in un termine “feticistica”, poiché l’autore preferisce spezzare l’andamento del film in inquadrature nette e distinte. Proponendo la sua teoria di un linguaggio cinematografico della vita, o meglio, della vita come cinema in “natura”.

Le prime esperienze cinematografiche di Accattone e Mamma Roma si formano “sulle dilatazioni di una poetica ancora sospesa tra la dimensione artigianale e locale dell’esperienza creativa e quella istituzionale della produzione della cultura di massa.” (cfr. Miconi)

Il cinema di Pier Paolo Pasolini consacrato da una vocazione regressiva non può che determinarsi in una frattura drammatica e lacerante, nell’annullamento individuale, nel decadimento di corpi e dell’esperienza sociale. Le inquadrature che isolano feticisticamente la realtà esprimono il transito di luoghi, oggetti, corpi, da un prima ad un dopo, ma anche il passaggio dello stesso autore, da una adesione passionale al rigetto furioso e indignato della realtà.

La conclusione sarà la distruzione dell’oggetto e l’autodistruzione dell’autore stesso: Salò o le centoventi giornate di Sodoma.

Dietro questo film sembra disgregarsi il tempo storico, il passaggio epocale dei corpi, “umiliati e distrutti”. Metafora il film della decadenza del regime fascista e della repubblica di Salò simbolo per Pasolini di quella perversione – che trae il suo leitmotiv da De Sade- perversione che come afferma il poeta è già inscritta nella società attuale e che vede ovunque (1): trattandosi appunto di quel gioco perverso che compie il Potere nella mercificazione, manipolazione e distruzione dei corpi e quindi dell’individuo. E tutto questo non può che riflettersi nell’allegoria pregnante della dissoluzione-disintegrazione dell’uomo nella modernità, dell’antico sapere nei circuiti o meglio corto-circuiti della cultura massmediale.

Note

1) Rispetto al suo ultimo lavoro cinematografico Salò o le 120 giornate di Sodoma, Pasolini afferma in una nota a questo lavoro “vedo perversione ovunque” in Salò o le 120 giornate di Sodoma versione dvd I grandi successi del cinema Italiano in contenuti.

Riferimenti Bibliografici

Tullio De Mauro, Pasolini critico dei linguaggi, in P.P. Pasolini, a cura di R. Tordi, «Galleria», XXXV (1985), 1-4, 7-20.
Maurizio De Benedectis, Fellini e Pasolini linguaggi dell’aldilà, Edizioni Lithos.
Andrea Miconi, P.P. Pasolini, la poesia, il corpo ed il linguaggio, Edizioni Costa e Nolan.
Serafino Murri, Pier Paolo Pasolini, edizioni Castoro.

* foto di Letizia Battaglia

Lisbona città di luce – POESIA

Lisbona (2)Lisbona

Lisbona città
di luce
oceano di frontiera
porto di resistenza.

LISBONA 23 AGOSTO 2020

Pier Paolo Pasolini: “In nome della cultura mi ritiro dallo Strega”

IN NOME DELLA CULTURA MI RITIRO DALLA STREGA PASOLINI

La prima reazione di un osservatore oggettivo e un po’ indifferente, nel venire a sapere che un partecipante al Premio Strega, poco prima della seconda votazione, ritira il suo libro, è che si tratti di una azione scorretta. Ebbene, lo è. Si tratta di una scorrettezza formale: e si sa che la correttezza formale è una delle basi della convivenza democratica. Benché questo non mi sia costato molta fatica, ho dovuto dunque usare una certa violenza contro me stesso, in questa decisione di ritirarmi dal premio (…)
PERCHÉ ho usato questa violenza contro il mio legalitarismo e il mio rispetto per le formalità democratiche? Perché ero posto di fronte a un dilemma: o andarmene, scorrettamente – e questo era male – o restare – correttamente – e questo era un male ancora peggiore. (…) È vero che già altre volte avevo partecipato al premio: con Ragazzi di vita, nel ’55 o ’56, e con Una vita violenta nel ’59: e l’elettorato ha decretato una mia dimostrativa sconfitta: ma quelli erano altri tempi, erano gli anni Cinquanta, con l’Italia ancora paleocapitalistica, col suo Sud, i suoi sottogoverni ecc. ecc. Ora tutto è cambiato: mentre allora il Premio Strega era, come dire, una cosa infamiglia, pareva, partecipandovi, di andare a giocare a tombola coi vicini di casa (…) Oggi invece il Premio Strega è venuto a fare parte integrante di quella che si chiama «industria culturale» e si inquadra in una Italia borghese di tipo nuovo, contro cui non incombe più la minaccia romantica e antiquata di una rivoluzione operaia, che non è poi avvenuta. Il «malcostume» dunque non è più un fenomeno parziale, all’interno di un particolarismo sociale (la vita letteraria), ma è un fenomeno integrale, riguardante la società italiana nel suo insieme. (…) INSOMMA, sono venuto a conoscenza di fatti (di cui purtroppo non posso né, credo, potrò mai produrre prove) che mi hanno convinto che il Premio Strega è completamente e irreparabilmente nelle mani dell’arbitrio neocapitalistico. Devo rendermene complice? Un editore certamente ha il diritto di fare le pressioni che vuole: i suoi interessi sono di tipo industriale: e di fronte alla concorrenza, lo sappiamo, i «padroni», sia pure addolciti dal nuovo corso, sono capaci di tutto. I miei interessi, invece, sono di tipo culturale: il mio esser capace di tutto può consistere dunque in una sola cosa: protestare. Così mi ritiro scorrettamente dalla seconda votazione del premio per protesta: protesta contro l’ingerenza dell’editore industriale in un campo che io considero ancora, arcaicamente, non industriale: cosa che si concretizza nella creazione di valori falsi e nella soppressione di quelli veri. Soppressione, dico. Perché il neocapitalismo non ha scrupoli: l’America reazionaria lo insegna. Circolano parole d’ordine e veline. Di questo libro si può parlare, di quest’altro si taccia; questo libro vinca un premio, quest’altro no. Guai a te, Direttore di rivista, se fai recensire favorevolmente questo libro. E se tu, Scrittore, non fai una recensione buona di quest’altro libro, me la pagherai: infatti nessuno dei miei rotocalchi parlerà più di te. Ah, tu, Letterato, sei amico di quest’altro letterato? Ebbene, tradiscilo, altrimenti non ti rinnovo il contratto con la mia casa. Sei il votante di un premio? Bene, dammi la scheda, o entri nella lista di proscrizione. Bè, prendi questi soldi, dammi la scheda. Ah, vecchi tempi, in cui una delegazione di votanti dello Strega andava da uno scrittore (buono) a pregarlo di ritirarsi dal premio perché la figlia di un altro scrittore (buono) doveva sposarsi, e quindi il milioncino del premio occorreva a lei! Ora l’industria del libro tende a fare del libro un prodotto come un altro, di puro consumo: non ha bisogno dunque di buoni scrittori: cosa a cui fa perfetto riscontro la richiesta della nuova borghesia, che parrebbe completamente padrona della situazione, di opere di svago, di evasione e di falsa intelligenza. Ripeto: non voglio rendermi complice in alcun modo di questostato di cose. Ma come odio la complicità, odio anche il compromesso.
AVREI POTUTO continuare, formalmente, a fingermi un concorrente democratico e, d’accordo con Maria Bellonci, avallare, sia con una vittoria, sia con una sconfitta di misura, per l’ultima volta, il Premio Strega così com’è: cioè un campo d’operazioni del più brutale consumismo. Infatti, la signora Bellonci mi ha promesso che, per il prossimo anno, il premio sarebbe stato riformato, garantendo un miglior livello delle opere presentate eccetera.
No. Non mi sono sentito di venire a un tale patteggiamento. Credo che soltanto una protesta, completa, rigorosa e senza compromessi, possa essere utile a far sì che il premio, se deve ricostituirsi, si ricostituisca da zero, rimettendosi integralmente in discussione. Sono convinto che solo così si potrà avere un «altro» Premio Strega: che garantisca davvero di essere tutto dalla parte degli interessi culturali «contro» gli interessi industriali. Se esso vuole arrivare a questo attraverso patteggiamenti, compromessi, silenzi, vuol dire che non ha una reale buona volontà. PER FINIRE, vorrei dire che so che, a questo punto, qualcuno mi potrebbe domandare perché sono solo, o con pochi amici – gli altri concorrenti al premio, per esempio – a combattere questa battaglia, e se per caso non esista un «sindacato scrittori» che intervenga, con forza e autorità (doppia: sindacale e letteraria) a difendere i suoi iscritti dalla vera e propria «servitù» a cui li sta cominciando a ridurre l’industria culturale. Ebbene, è questa una domanda che mi faccio anch’io senza saper rispondere, ma a cui si dovrà, prima o poi, dare una risposta.

Saggio Breve: Simone De Beauvoir e della mancata solidarietà e sorellanza tra donne

Simone De Beauvoir e della mancata solidarietà e sorellanza tra donne (2)

Un breve saggio rivolto principalmente e unicamente alle donne per una riflessione sulla mancata solidarietà e sorellanza tra il femminile. Già Simone De Beauvoir ne Il secondo sesso rifletteva: “tranne in certi congressi che restano manifestazioni astratte – le donne non dicono «noi»; gli uomini dicono «le donne» e le donne si designano con questa stessa parola, ma non si affermano autenticamente quali soggetti.” Franca Rame affermava che ” la peggiore nemica della donna è proprio la donna.” Allora perché le donne non si alleano, non si difendono, non solidarizzano tra loro? Al contrario sono spesso antagoniste, aggressive e violente, invidiose e gelose l’una dell’altra. Un problema attualissimo poco dibattuto e affrontato dal femminismo contemporaneo. Si rivolge in primis questo breve saggio a tutte quelle donne che andando contro le altre non fanno che
perpetuare e rinvigorire il secolare e millenario patriarcato.
E che io definisco “le patriarcali.”

Bert Hellinger: L’amore maturo richiede reciprocità

bert_hellinger

Quello di amare senza aspettarsi nulla in cambio, è bello nelle favole. Ma nella vita reale, un amore maturo richiede un delicato equilibrio tra dare e ricevere, perché tutto ciò che non è reciproco, è tossico.

Bert Hellinger psicologo e scrittore

Soltanto Eva – Racconti: per una legge contro l’omotransfobia

SOLTANTON EVA RACCONTI

Che venga legiferata quanto prima una legge contro l’omo-transfobia #diritticivili il libro Soltanto Eva è disponibile negli store online e ordinabile in libreria

>>>https://www.ibs.it/soltanto-eva-libro-dale-zaccaria-ambra-orlandini/e/9788831678711

Due storie, due vite reali di donne transessuali. Due punti di vista diversi che gettano luce sulle innumerevoli possibilità di attraversare la sessualità e il genere. Il termine Trans deriva dal latino e significa al di là. Al di là di ogni struttura etero-normata ed etero-patriarcale. Al di là dei ruoli imposti e definiti dalla società. Al di là del maschile e del femminile. E in questo valicare, oltrepassare, le soglie culturali e sociali, ogni lettrice e lettore potrà trovare, intravedere, riconoscere il suo luogo di trans-ito interiore ed esteriore. Due racconti che narrano due modi diversi di vivere la transessualità, perché trattasi innanzitutto di due vite differenti ed uniche. “Soltanto Eva” come si evince dal titolo vuole anche liberare la figura biblica di Eva. L’essere donna, il sentirsi donna al di là di ogni morale, costrutto, sociale, culturale, politico e religioso. Perché come affermava la scrittrice francese Simone De Beauvoir: “donna non si nasce lo si diventa”. Introduzione al libro di Mariangela Casalucci.

Pensiero Attivo

“Il difficile non è scriverla la poesia, quanto trovarla, mantenerla, farla vivere nei propri occhi, nel proprio cuore, nella propria vita” Dale Zaccaria

“L’oppressore non sarebbe così potente se non trovasse fedeli collaboratrici tra le oppresse” Simone de Beauvoir

“Ho imparato due cose importanti che dovrebbero essere ancora basilari nel mondo dello spettacolo e nella vita: la dignità e il rispetto di se stessi e degli altri” Franca Rame

“In Italia c’è il mancato riconoscimento del merito, il fatto che se hai talento ti ostacolano. Il talento diventa un elemento che va a rompere gli equilibri di mediocrità e compromesso di un sistema clientelare, dove la parola conoscenza equivale a raccomandazione” Dale Zaccaria

“Una società sana premia il merito, punisce i mascalzoni e investe nell’istruzione ” Milena Gabanelli

Partnership Libreria Amica: LIBRERIA ANTIGONE DI MILANO: Nata a giugno 2016, la libreria Antigone è specializzata in tematiche Lgbtqi+ femminismi e studi di genere. Un piccolo luogo di ritrovo con un grande intento: fornire strumenti per capire, educare, crescere.